Rione Pigna Fontana del Facchino Via Lata

Fontanella del Facchino. Considerata una delle più note “statue parlanti”, suo autorevole e frequente interlocutore fu Pasquino, celebre per la sua mordacità, il Facchino rappresenta un «acquaiolo», appartenente cioè alla categoria degli «acquarenari» o portatori d'acqua, con il caratteristico costume dell’epoca: reca, infatti, tra le mani, un barilotto dal cui foro centrale una cannella versa acqua nella sottostante vaschetta semicircolare. La piccola fontana, secondo un'altra versione, sarebbe stata invece dedicata ai facchini portatori di vino, di uno dei quali ritrarrebbe le sembianze, esattamente quelle di un tal Abbondio Rizio, noto per la sua forza erculea e per la smodatezza nel bere. Originariamente la fontanina era sormontata da una lapide con la seguente epigrafe dettata dall'abate Godard: «Ad Abbondio Rizio, coronato sul pubblico marciapiede, espertissimo nel legare e soprallegare fardelli, il quale portò quanto peso volle, visse quanto poté, ma un giorno, mentre portava un barile di vino in spalla e un altro in corpo, morì senza volerlo». L'iscrizione ricorda, dunque, anche lo strano rituale cui doveva sottoporsi il nuovo facchino: i colleghi, dopo avergli posto in testa corone di bieda e di verdure varie, gli facevano ripetutamente battere il sedere sul marciapiedi (in publicis stillicidiis coronato), nel punto esatto della postazione a lui riservata. La cerimonia, che costituiva l'ufficiale presa di possesso del luogo di lavoro, si concludeva sempre allegramente all'osteria. La graziosa fontanina (scultura di grande finezza che il Vanvitelli in una perizia del 1751 attribuì addirittura a Michelangelo, ma che il D'Onofrio con più valide argomentazioni assegna a Jacopo Del Conte, il quale l'avrebbe eseguita tra il 1587 e il 1598) si trovava in origine nell'attuale via del Corso, sulla facciata del palazzo Grifoni, di fronte alla chiesa di S. Marcello. Era incorniciata da una edicola architravata e aveva la vasca sottostante più ampia. Nel 1872 trasferita nell'attigua via Lata, addossata al muro del palazzo De Carolis, per salvarla dagli urti delle carrozze e dalle sassate dei monelli. E' infatti alquanto malridotta. Costituisce, tuttavia, una testimonianza dell’umile, prezioso lavoro svolto dalla categoria degli «acquaroli». Essa venne comunque realizzata in epoca rinascimentale, quando il compito della già potente corporazione andava tramontando con il ripristino e la riutilizzazione degli acquedotti romani che i pontefici vollero nuovamente attivare dopo le distruzioni operate dai barbari nel periodo delle invasioni.

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