Roma Antica Castel Sant’Angelo o Mausoleo di Adriano Sala di Apollo

A metà del quattrocento su disposizione di papa Niccolò V Parentucelli (1447-1455), fu costruita la sala di Apollo così iniziò il lento processo del cambiamento di Castel Sant'Angelo da fortezza a sede pontificia. Nel 1547 papa Paolo III Farnese (1534-1549) diede l’incarico di decorare e completare la Sala a Perin del Vaga, il quale morì poco dopo l'inizio dei lavori, che furono quindi completati dai suoi collaboratori. Gli artisti che si distinsero nell’affrescare la sala sono: Domenico Rietti, detto Zaga, e Pellegrino Tibaldi. La sala fu decorata a grottesche su fondo bianco, questo tipo di decorazione pittorica all'antica è ispirata a un gusto che, fu diffuso dalla scuola di Raffaello tramite le Logge Vaticane. La affresco a grottesche domina i dieci pannelli che raffigurano le storie di Apollo posizionati sul soffitto, assieme allo stemma di Paolo III. Nelle lunette sono rappresentate le Arti Liberali che, assieme alle Muse, in origine custodite in sottili strutture dipinte alle pareti,  richiamano il mito di Apollo protettore delle discipline artistiche ed intellettuali. Il richiamo, tramite gli affreschi alla mitologia pagana associato all’araldica papale è  un segnale della passione per la cultura classica e neoplatonica manifestata da Paolo III fin dalla sua giovinezza, vissuta alla corte di Lorenzo il Magnifico. Gli emblemi della famiglia Farnese erano il "Giglio di Giustizia" e il motto "Festina Lente". Nei pennacchi della volta decorata a fresco sono raffigurate  l’impresa del Giglio di Giustizia e  quella del delfino col camaleonte. Il giglio di giustizia simboleggia Paolo III, che come un arcobaleno, apporta serenità e pace facendo opera di mediazione tra Francesco I e Carlo V,  conclusasi con la pace di Nizza. Il motto "Festina Lente", già appartenuto all'imperatore Ottaviano Augusto, ovvero affrettati lentamente, esprime il concetto del fare celermente (caratteristica di velocità attribuita al delfino), mentre il concetto di lentezza è attribuita alla flemma del camaleonte. 

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